Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978. Aveva in tasca un nuovo governo, che nessuno vide mai. L’Italia perse il futuro; ancora oggi, regna un presente assente a se stesso. L’unica “rivelazione” effettiva con la quale purtroppo ci troviamo a fare i conti (tra i troppi depistaggi, dai quale prende le mosse questa poesia ispirata ad un ipotetico “settimo uomo” coinvolto nel sequestro) è quella di una politica incapace, in alto come in basso, nel verticismo come nel populismo, di «promuovere una nuova condizione umana.»
Il settimo uomo fu un odore di cordite appeso al gancio del nostro rancore il prisma spezzato di una volontà impopolare, oppure la pedina che raddoppia i giochi deviando il corso dal letto di un amante tradito ben oltre le lacrime per qualche poveruomo ucciso. Saltimbanchi e pagliacci onestamente convinti colpirono al cuore un albero motore credendo che cambiando le foglie davvero si facesse
la Rivoluzione.
E la radio trasmetteva da discariche celesti a noi raccolti attorno ai baffi di una suora e come in innumerevoli casi analoghi la tensione diveniva commozione ed era comune lo sdegno per l’attentato commesso, non considerando che (forse) i gestori (occulti e reali) dell’azienda nazionale l’avessero né per volontà generale né per quella di tutti (tutti impegnati a sovrapprodurre e a sciupare) commissionato.
Ma il settimo uomo svanì in una nube di cemento e di diossina lasciando diffidenza, paura, sbando e malcontento il frigo vuoto e gli avanzi della sera prima.
(Autunno 1992)